John Me by Elton John

John Me by Elton John

autore:Elton John [John, Elthon]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788852097980
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


a. Gioco di parole: “L’esercito di Elton John fatto da Taylor” (l’allenatore del Watford), ma anche “fatto su misura” (tailor-made).

b. “Ancora in piedi”, allusione a I’m Still Standing.

c. “Non dire ‘lo voglio’, di’ ‘ciao-ciao’”, da Kiss the Bride.

dieci

Vale la pena sottolineare che Renate non sposò soltanto un tossicodipendente gay. Il che sarebbe stato già abbastanza. Renate sposò un tossicodipendente gay la cui vita stava per andare fuori controllo in un modo che non avrebbe mai immaginato. Ebbi un paio d’anni abbastanza normali, almeno per i miei standard. Guardammo il Watford perdere la finale della FA Cup. Pubblicai un altro album, intitolato “Ice on Fire”: lo produsse Gus Dudgeon, la prima volta che lavoravamo insieme dalla metà degli anni Settanta. Nel Regno Unito, ebbe grande successo Nikita, una canzone d’amore dedicata a una russa a cui Bernie, per sbaglio o per malizia, aveva dato il nome di un uomo. Al Live Aid allestii un’area nel backstage con erba finta e un barbecue, così che altri artisti potessero fare un salto. Arrivò Freddie Mercury, ancora esaltato dopo la strepitosa esibizione dei Queen, e diede una sua tipica valutazione del cappello che avevo scelto per esibirmi: «Caro! Che cazzo avevi sulla testa? Sembravi la Regina Madre!». Nell’estate del 1986 andai al concerto d’addio degli Wham! a Wembley, dove sottolineai la solennità della decisione di George Michael di lasciarsi alle spalle le frivolezze della musica pop e di annunciarsi come cantautore maturo presentandomi a bordo di una Reliant Robin, vestito da Ronald McDonald. George voleva cantare Candle in the Wind come segno della sua nuova serietà, invece sul palco io attaccai al pianoforte con una versione da pub di When I’m Sixty-Four.

Ma più avanti, quello stesso anno, le cose cominciarono ad andarmi seriamente di traverso. Iniziò mentre ero in tour in America, quando notai che la mia voce aveva qualcosa che non andava. Successe una cosa strana. Stavo suonando al Madison Square Garden e cantavo bene, ma fuori dal palco riuscivo a parlare solo a bisbigli. Decisi che la linea di condotta migliore era far riposare la voce tra uno spettacolo e l’altro e scherzarci su. Mi procurai una parrucca e un impermeabile alla Harpo Marx e iniziai a indossarli dietro le quinte, suonando una trombetta invece di parlare.

La mia voce, però, peggiorò quando arrivammo in Australia. Appena arrivati, uscì il mio nuovo album. Si intitolava “Leather Jackets” ed era quanto di più simile a un disastro assoluto avessi mai realizzato. Avevo sempre cercato di astenermi categoricamente dal portare la droga in studio, ma quella volta la regola volò fuori dalla finestra. La coca ebbe sul mio giudizio creativo proprio l’effetto che vi aspettereste. In “Leather Jackets” ficcai porcherie di ogni tipo. Il grande singolo doveva essere Heartache All Over the World, una canzone così leggera che si poteva sollevarla con il mignolo. C’erano vecchie canzoni che erano state eliminate dagli album precedenti, perché non erano abbastanza buone, ma che, dopo un paio di strisce, all’improvviso mi sembrarono capolavori perduti che il pubblico aveva urgente bisogno di ascoltare.



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